mercoledì, ottobre 22, 2008

Cavolata lunga.

Oggi sono andato dal barbiere. Lo chiamo ancora così: barbiere. Lui forse si offenderebbe se sapesse che così lo chiamo. Anzi, oggi ho sentito un po’ il suo disagio quando m’è sfuggito di dire “barbiere” riferendomi a lui.
Sull’insegna ha scritto - parrucchiere unisex Saimon capelli -, con “ai” forse perché Simon si sarebbe potuto confondere con un cognome, da noi frequente, ma penso più per sentirsi sempre chiamare all’inglese, da autentico parrucchiere.
Sì, sono andato dal barbiere. E’ un’incombenza che non sopporto, anche se la mia testa avrebbe spesso bisogno di una regolata, soprattutto ora che i capelli cominciano a diradarsi e le mie orecchie non consentono un taglio radicale (che, a dirla tutta, non mi piacerebbe neanche).
Che sia un parrucchiere lo si capisce dal fatto che nel negozio non ci sono calendari sexy che ancor oggi vedo appesi alla parete del barbiere della mia infanzia, mentre vicino al divanetto per l’attesa sono raccolte molte riviste glamur che ho sfogliato svogliato. Ero arrivato un po’ prima dell’orario fissato per l’appuntamento (che l’appuntamento si fissa dal parrucchiere e non dal barbiere), avevo visto uscire dal negozio una giovane donna con i capelli decisamente decolorati, tagliati corti e tutti artificiosamente scomposti, ed ero stato invitato dalla moglie-collega di Simone ad attendere che il ragazzino seduto davanti allo specchio avesse finito il suo turno di tosatura.
Con la madre stava ascoltando il parrucchiere che, rivista alla mano, illustrava quale sarebbe stato il taglio che si accingeva ad eseguire: “asciutto dai lati, mentre sopra e davanti un po’ più lungo, che così potrai sia pettinare in avanti che, eventualmente, tirare su con del gel”.
Ho aperto la rivista. Ho guardato senza attrattiva le troppe foto pubblicitarie. Ho notato la composizione di un lungo servizio di moda con still-life a tutta pagina sulla sinistra con piccola didascalia e una pubblicità con foto sempre a tutta pagina sulla destra e marchio. Ho letto l’incipit di un articolo che parlava di Traffic, un saggio di un certo Vander… che afferma del diritto di tutti ad avere diritto ad un po’ di coda nel traffico. Mi sono proposto di fare una ricerca in rete per approfondire il tema.
Dopo le scuse per il ritardo rispetto all’orario accordato e dopo lo shampoo (che un parrucchiere fa lo shampoo mentre il barbiere prende lo spruzzino e inumidisce i capelli), Saimon mi chiede se va bene un taglio corto più comodo da governare, o se preferisco dai lati un lunghezza da “dito” e mi prende una ciocca di capelli appena sopra l’orecchio tra indice e medio appoggiati alla tempia, con i ciuffi che uscivano indomiti. Opto per la praticità e subito vengo attaccato dal rasoio elettrico da ogni lato.
Si è parlato un po’. Non dei figli come di solito, ma di soldi e di inettitudine con gli attrezzi elettronici che ognuno si ritrova in casa. Una rasata anche alla barba.
Ho la sensazione di essere stato, inconsapevolmente forse, gabbato.
Ho la sensazione che, avendo cominciato un po’ più tardi, ci sia stata fretta di finire, e dal parrucchiere ci sono gli appuntamenti da rispettare.
Oggi sono andato dal barbiere. Ne siamo certi. Io e il mio specchio.